Lavoro durante le prove

“ I CIECHI”

 

di

MAURICE MAETERLINCK

 

Poiché  i Ciechi posseggono, sin dalla più remota Antichità, il dono di vedere l’invisibile. Il Cieco è colui che vede qualcos’altro, con altri occhi, occhi di un altro mondo, e sorprende lo spettatore scorgendo e sentendo quel che, letteralmente, non si trova, non si vede....

Questo effetto è quello che Freud qualificherà, “unheimlich” ossia “l’inquietante estraneità”.

 

 

Cercare nel buio o rimanere al proprio posto. Questa è l’alternativa impossibile che ci propone Maeterlinck nei Ciechi, uno dei suoi primi lavori, datato del 1890 e sempre attuale, eternamente attuale.

L’immagine è semplice, estremamente semplice; forse anche troppo, ed è questo che la rende tremenda. Un prete sdraiato contro un albero, in una mortale rigidità, che soltanto lo spettatore indovina. Dei ciechi sono seduti, a pochi passi da lui, in una scenografia tenebrosa, senza tempo, una foresta al chiaro di luna. Ecco gli ingredienti che Maeterlinck intreccia per porre questa domanda: come se la sbriga un gruppo di ciechi in piena foresta quando la loro guida è deceduta, senza ch’essi lo sappiano? Caso magistrale che potranno invidiarli i maestri dell’assurdo, che devono ancora nascere nel XX secolo. Ma I Ciechi evita il comico e grottesco del « poveri ciechi » per iscriversi nel sogno più puro, dove questi ciechi assorgono pian piano al mito, ad una rappresentazione dell’intera umanità!

 

Inquietante estraneità

E’ il destino di questo gruppo di ciechi — nel quale ognuno di noi s’identificherà facilmente — che preoccupa veramente. Conservatori, progressisti, uomini, donne, giovani, anziani, tutti sono rappresentati in questi esseri umani perduti in mezzo ad alberi e pietre. Erranti, lo sono sotto tanti aspetti: non sanno dove sono, né nell’assoluto, né gli uni in confronto agli altri; essi ignorano a quale distanza e in quale direzione si trova il loro ospizio; stessa cosa per la loro guida che non sentono più. Fin qui niente di troppo minaccioso per noi che possiamo osservare i protagonisti come se fossero formiche sotto una campana di vetro. Ma Maeterlinck domina meravigliosamente le fila del loro disagio. Poiché come già detto i Ciechi posseggono, sin dalla più remota Antichità, il dono di vedere l’invisibile. Il Cieco è colui che vede qualcos’altro, con altri occhi, occhi di un altro mondo, e sorprende lo spettatore scorgendo e sentendo quel che, letteralmente, non si trova, non si vede....

Questo effetto è quello che Freud qualificherà di: “unheimlich” ossia “l’inquietante estraneità”.

  

« Io so che è tardi quando ho fame, e ho fame. »

Sotto i nostri occhi, i ciechi fanno scorrere progressivamente la loro storia. In un mondo lontano, onirico, su di un’isola minacciata da un lungo inverno, dalle esondazioni di un fiume e dal mar agitato, un prete e un medico hanno l’incarico di un ospizio per ciechi. Quando il medico muore, il prete decide di partire con i suoi protetti per « vedere l’Isola, un’ultima volta sotto il sole, prima che giunga l’inverno. » Poi, nel corso della camminata, egli chiede loro di aspettarlo in silenzio e non torna. In questo momento preciso inizia l’azione scenica, con un tentativo di raggruppamento, e poi di censimento « alla cieca », cosi come una ricostituzione degli avvenimenti anteriori, procedimento sottile che fa discretamente il suo lavoro di narrazione, denotando subito i rapporti di fratellanza e di rivalità all’interno di questa piccola compagnia.

In seguito, i ciechi tenteranno di orientarsi geograficamente (« Siamo vicino al mare? ») e anche nel tempo (« C’è ancora il sole? »), mettendo cosi in gioco la questione delle percezioni e della loro soggettività, non è per il fatto di essere ciechi che tutti percepiscono il mondo all’incirca allo stesso modo, tutt’altro! Finché sono disturbati dai rumori di foglie o degli uccelli, dei quali loro non comprendono del tutto l’origine, lo spettatore vedente si crede al sicuro poiché lui potrebbe capire di che si tratta. Ma questa impressione è solo fugace, poiché ben presto i ciechi percepiscono cose strane, uno si sente toccare il gomito, l’altro sfiorare la mano, un’altro ancora si sente spiato....

 

Una metafora della vita

Al di là di questa situazione drammatica essenziale, non si può fare a meno di vedere nei I Ciechi un’allegoria della condizione umana. Tutti noi siamo, in effetti, dei ciechi che vivono al buio nell’incognito dell’avvenire, oscuri in una notte solitaria? Pensiamoci bene ai « Qualcuno vuole seguirmi? » di certuni, non risuonano i « Rimaniamo seduti ! — Aspettiamo, aspettiamo » di altri?

Da qui, alla luce di questa lettura, la morte del prete risuona come la morte di Dio del filosofo Nietzsche, descritta solo qualche anno prima della stesura di I Ciechi di Maeterlinck.